VINCENZIO DA SAN GIMIGNANO

 

Pittore

 

 

Quanto obligo debbono avere gli scultori e pittori alla aria di Roma, et a quelle poche antiquità che la voracità del tempo e la ingordigia del fuoco mal grado loro vi hanno lasciato, con ciò sia che ella uno altro spirito in corpo forma, et in uno altro gusto lo appetito converte. Atteso che infiniti si sgannano da una vana pazzia un tempo seguitata, i quali nel vedere le mirabili fatiche di tanti antichi e moderni artefici che v'hanno operato, i passati errori | abbandonano e, seguitando le vestigie di coloro che trovarono la buona via, conducono le cose loro a perfezzione di una bella maniera, et imitando quel buono che e' veggono, sono cagione che quegli che vi stanno fanno il medesimo. Come veggiamo che fece Vincenzio da San Gimignano pittore, il quale ne lo accostarsi al grazioso Rafaello da Urbino, fu di quegli che lavorarono nelle logge papali. Onde gli avvenne che, piacendogli molto quella terribilità del chiaro oscuro, che lavoravano nelle facciate delle case Maturino e Polidoro, si mise ancor egli in animo di seguir l'orme loro. Per il che fece in Borgo dirimpetto al palazzo di Messer Giovan Batista da l'Aquila una facciata di terretta, nella quale in un fregio figurò le nove Muse con Apollo in mezzo, e sopra vi condusse alcuni leoni, impresa del papa, i quali sono tenuti bellissimi. Aveva Vincenzio la sua maniera diligentissima, et era molto grato nello aspetto delle figure e morbido nel suo colorito, e di continuo imitò la maniera del grazioso Rafaello, come si vede ancora nel medesimo Borgo dirimpetto al palazzo del Cardinale d'Ancona una facciata a una casa, dove Vulcano fabbrica le saette a Cupido, con alcuni ignudi bonissimi et altre storie e statue, le quali lo renderono non meno stimato ch'egli si fosse nell'arte valente. Fece ancora su la piazza di San Luigi de' Franzesi in Roma una facciata, nella quale infinitissime storie sono da lui dipinte: la morte di Cesare et un trionfo della Giustizia, con un fregio di battaglie di cavalli, dalla dotta mano di Vicenzio lavorati e condotti. Et in tale opera vicino al tetto fra le finestre alcune Virtú, con molto bella maniera lavorate e finite. Similmente la facciata de gli Epifani dietro alla Curia di Pompeo; e vicino a Campo di Fiore, dove fece quando i Magi seguono la stella, cosa lo|datissima; et altri infiniti lavori per quella città, la quale mercé dell'aria e del sito, i begli ingegni di continuo ha fatto operare.

 

 

 

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Cosí in bonissimo credito in quella città venuto, successe l'anno MDXXVII la furia e la ruina del sacco. Per il che dolente oltra modo, a San Gimignano sua patria tornare gli convenne. Laonde fra i disagi patiti e lo amore dell'arte mancatogli, non essendo piú fra tanti divini ingegni e fuor dell'aria che i belli ingegni alimenta e fa fare cose rare, in quella terra fece opere di facciate e d'altro, che non le conterò parendomi coprire ogni lode che in Roma s'aveva acquistato. Basta che si vede espressamente che le violenzie deviano forte i pellegrini ingegni da quel primo obietto, e li fanno torcere la strada in contrario. Come si vede che fecero ancora a un suo compagno chiamato Schizzone, il quale fece in Borgo alcune cose lodate, e cosí in Campo Santo di Roma et in Santo Stefano de gli Indiani; e 'l poverino ancor egli dalla poca discrezione de' soldati fu fatto deviare da l'arte, e di là a poco tempo vi perdé ancora la vita. Ma per tornare a Vicenzio, essendo egli già venuto in età de gli anni della vecchiaia, in San Gimignano di mal di febbre finí la vita l'anno MDXXXIII.

 

 

 

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